mercoledì 16 dicembre 2009

1968: RICORDI E RIFLESSIONI DOPO QUARANT’ANNI. (di Volasufior)



Nella ricorrenza del quarantesimo anniversario del ’68 si sono organizzati convegni e dibattiti, sono stati pubblicati libri e articoli, si sono trasmessi programmi radiofonici e televisivi per ricordare quell’anno “formidabile” (prendo a prestito un aggettivo usato da Mario Capanna, leader del movimento studentesco milanese, per un suo libro sull’argomento) e molto se ne scriverà e discuterà anche in futuro, perché quella rimane una storia aperta, mai abbastanza dibattuta.
Va detto inizialmente che con il termine sessantotto non si indica un anno, ma più appropriatamente un’epoca che ha una dimensione temporale molto più lunga e che va, più o meno, dalla metà degli anni sessanta alla metà dei settanta. Qualcuno ha indicato come conclusivo il 1978, l’anno dell’assassinio di Aldo Moro e della sua scorta da parte delle Brigate Rosse.

Nel nostro piccolo paese in quell’anno non accade nulla di particolare. Si ha notizia dai giornali, dalle radio, e dalle poche tv allora presenti degli avvenimenti più importanti che si verificano in Italia (il terremoto nella valle del Belice, 14-01-68, che provoca 236 morti e 150000 senza tetto; le forti agitazioni sociali e le proteste degli studenti nelle principali città italiane, che si aggiungono agli scioperi degli operai, con gravi scontri tra forze dell’ordine e studenti a Milano e a Roma; le elezioni politiche del 19-05-68; l’eccidio di Avola del 02-12-68, in cui vengono uccisi due braccianti e molti sono feriti; la forte contestazione alla Scala la sera del 07-12-68, a seguito dei fatti di Avola dove gli studenti lanciano uova contro la borghesia milanese), e che succedono nel mondo (culmine del conflitto in Vietnam con l’offensiva del Tet, il 31-01-68; il Maggio Francese; l’assassinio di Robert Kennedy 05-06-68; la Primavera di Praga che verrà soffocata il 20-08-68 dai carri armati sovietici; il massacro di Piazza delle Tre Culture a Città del Messico il 03-10-68, con l’uccisione di 500 persone. Va ricordato che i movimenti studenteschi del ’68 seguono gli avvenimenti vietnamiti con un coinvolgimento eccezionale: il Vietnam, come Che Guevara del quale nel ’68 si pubblica il “Diario in Bolivia”, diventa per gli studenti dei vari movimenti un simbolo fondamentale, con mobilitazioni, marce, sit-in, proteste in tutti i Paesi occidentali, organizzati dai movimenti pacifisti e antimperialisti).
Comunque sia la vita, qui da noi, procede più o meno normalmente.
Per me quello è stato l’anno della maturità magistrale conseguita in luglio al Veronica Gambara di Brescia. Nel nostro Istituto le proteste degli studenti sono giunte solo marginalmente: ricordo due o tre assemblee nel cortile interno della scuola, durante le quali alcuni studenti delle ultime classi parlavano col megafono alla grande moltitudine degli altri che restavano per lo più indifferenti. Su un totale di circa 700 studenti, solo una piccolissima minoranza era coinvolta dal “movimento”, costituita per lo più da residenti in città e di estrazione piccolo borghese. Gli altri, come me, provenienti dai più disparati angoli della provincia e da famiglie per lo più contadine o operaie, vedevano nel conseguimento del diploma l’unica via di emancipazione e di miglioramento della propria vita, tanto sul piano economico che sociale.
Consideravano pertanto quelle assemblee come un’occasione per “bruciare” qualche ora di lezione o un’inutile perdita di tempo.
Era certamente un atteggiamento di “totale miopia” o di “chiuso conservatorismo”, come la definì allora un mio compagno impegnato; ripeto qui, a mia e nostra giustificazione di giovani qualunquisti di allora, ciò che più o meno dissi a lui in una discussione piuttosto accesa cui seguì la fine di un’amicizia. “Prima di giudicare bisognerebbe calarsi nei panni di un diciottenne che da quattro anni, durante l’anno scolastico, si alza al mattino verso le quattro insieme ai suoi che, a quell’ora, vanno al lavoro in stalla entrambi per dare a lui la possibilità di studiare, prende il pullman alle sette, arriva a Brescia dopo circa tre quarti d’ora, entra a scuola alle otto, esce alle tredici, si ferma in convitto per il pranzo e per svolgere parte degli impegni scolastici, riprende il pullman alle sedici e venti, ritorna a casa dove prosegue con gli studi, cena e va a letto per riprendere la stessa vita il giorno successivo. Un giovane studente che si sente finalmente prossimo alla meta, ma deve ancora superare la madre di tutte le prove: l’esame di maturità che, in quell’anno fatidico, è ancora strutturato alla vecchia maniera, la riforma sarebbe giunta l’anno dopo (quando si dice la sorte!) anche grazie agli effetti di quella irripetibile stagione. Tutte le materie scritte e pratiche (Italiano, Latino, Matematica, Disegno, Ginnastica) e tutte quelle orali (Letteratura italiana e latina, Storia, Geografia, Scienze, Filosofia e Pedagogia, Matematica, Musica con prova di solfeggio cantato). Uno studente che si sente schiacciato dal peso della fatica, dal timore di non farcela, dalla responsabilità verso la propria famiglia che ha investito su di lui, ed è totalmente assorbito da quel vortice di sentimenti e preoccupazioni”.
Quel mio compagno probabilmente non capì a fondo la mia posizione, forse perché lui, abitando in città a poche decine di metri dalla scuola, riusciva a conciliare lo studio con l’impegno politico, cosa per me impensabile.
Comunque sia, dopo giorni e notti di studio così intenso da rasentare il parossismo, ho superato gli esami, guadagnandomi la promozione con la media di 7/10 e, dopo aver visto il tabellone dei risultati, ho vissuto per qualche  tempo e forse per la prima volta nella mia vita cosciente, uno stato di totale, piena, invidiabile beatitudine della quale conservo un’indelebile ricordo ed una grande nostalgia.
Solo più tardi ho compreso a fondo l’importanza di quell’anno, di quel periodo, dei movimenti che l’hanno caratterizzato, delle idee e delle istanze che emersero da esso, con le conseguenze che ebbero sulle nostre società nell’ambito della politica, della famiglia, della scuola, della Chiesa, della cultura.
Nascevano allora, fuori dalla politica tradizionale e ufficiale, movimenti exrtaparlamentari che lottavano contro una scuola elitaria, contro l’Università dei cosiddetti “baroni”, contro gli sfratti requisendo gli appartamenti sfitti, per la riforma del sistema carcerario, per forme di democrazia associativa nelle caserme e l’abolizione dei codici militari, per un lavoro più umano e salari più equi. In seguito a quel movimento nacque la Statuto dei lavoratori (1970), vi fu maggiore attenzione alle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori e alle loro forme di associazione e di lotta. Sparirono dal codice il reato di adulterio e il delitto d’onore; fu introdotto il divorzio, la patria potestà fu attribuita ad entrambi i genitori; iniziava il cammino per trasformare la violenza sessuale da reato contro la morale a reato contro la persona; nacquero la medicina di base, i consultori, il concetto di prevenzione, riacquistò importanza la medicina del lavoro, Franco Basaglia chiudeva i manicomi che assomigliavano più a campi di concentramento che a case di cura.
Vi fu la riforma degli esami di maturità, incubo che aveva tormentato le notti di generazioni di studenti, furono promulgati i Decreti Delegati, con le loro forme di democrazia partecipativa previste per le scuole di ogni ordine e grado.
Nella Chiesa il Papa Paolo VI emanava la “Populorum Progressio”, nascevano le Comunità di Base, i Cristiani per il Socialismo, la scuola di Barbiana di don Milani; svolgevano la loro azione riformatrice don Mazzolari, padre Ernesto Balducci, don Mazzi e la Comunità dell’Isolotto; i primi preti-operai cercavano di elevare a Chiesa il proprio luogo di lavoro.
Per quanto riguarda la cultura, benchè la fantasia non sia andata al potere, come chiedeva un felice slogan del Maggio francese, quegli anni segnarono il trionfo della cultura di massa: per la prima volta milioni di individui in tutto il mondo ebbero accesso al sapere con la scolarizzazione di massa; si avvicinarono alla stampa, al cinema, alla musica non solo come fruitori, ma anche come produttori e protagonisti attivi. Si leggevano gli autori della Beat Generation, i testi dei pensatori della scuola di Francoforte e dei filosofi esistenzialisti, le opere di Pasolini e gli articoli che pubblicava su giornali e riviste, i testi classici del marxismo-leninismo e il Libretto Rosso di Mao, e molto altro ancora. Tutto ciò generava teorizzazioni, idee, dibattiti, proposte che finivano su fogli di stampa alternativa, su centinaia di migliaia di volantini che venivano distribuiti alle manifestazioni, ai cortei, ai concerti.
Film come: “Fragole e sangue”, “Soldato blu”, “Easy raider”, “Uomini contro”, “Sbatti il mostro in prima pagina”, “Il Vangelo secondo Matteo”, ecc. venivano proiettati in tutte le sale cinematografiche e nei cineforum con grande successo, stimolando discussioni a non finire.
I Beatles, i Rolling Stones, i Doors, gli Who, Jimy Hendrix, Janis Joplin, Bob Dylan, Joan Baez, Guccini, i Nomadi, Tenco, i Dik Dik, De Andrè, l’Equipe 84, e molti altri, sconvolgevano le acque stagnanti della musica pop mondiale a Woodstock, a Monterey, all’isola di Whigt, con concerti che mai prima di allora avevano attirato un così grande numero di giovani, veri e propri eventi, e con dischi che scalavano le classifiche di vendita in pochissimo tempo grazie alla diffusione delle radio, dei giradischi e dei Juke-box. Con una fioritura di emuli ovunque e la nascita di “complessi” dai nomi più improbabili e fantasiosi; ricordo “I Tagliapietra” di Montichiari, “I Fantasmi” di Ghedi, “Le Visioni” di Carpenedolo (per un certo periodo il loro batterista è stato Tonelli Giuseppe e provavano nella casa di Candrina, in via Mazzini n° 5, allora disabitata e concessa loro gratuitamente dal proprietario Guido).
Di tutto quel gran fermento io ho avuto piena coscienza solo dopo, quando ho potuto dedicare più tempo allo studio, alla lettura, al cinema e alla musica. Infatti, superato il concorso magistrale, ho iniziato a fare l’insegnante e a disporre di un reddito, quindi di maggiore indipendenza. Contemporaneamente mi sono iscritto all’Università, conseguendo la laurea nel 1973. Risulta chiaro quindi che non ho preso parte attiva a quel grande movimento perché il mio motto allora era: “Primum vivere, deinde philophari”, come insegna il filosofo Aristotele, tuttavia quando ne ebbi piena consapevolezza la mia adesione ideale fu totale.
Dopo quarant’anni il mio modo di pensare è certamente cambiato, guai se così non fosse, comunque sia mi sento orgogliosamente parte di quella “mia generazione” (ancora un prestito dal titolo di una canzone degli Who) che, a mio avviso, non è stata sconfitta, checchè se ne dica.
Sicuramente ha fatto molto bene nella critica alla società borghese e all’autoritarismo maschilista che la caratterizzava, nella messa in discussione dei rapporti politici ed economici i quali evidenziavano l’esclusione delle masse dai luoghi di decisione ed il persistere delle disuguaglianze, delle ingiustizie, dello sfruttamento. Meno bene nella parte propositiva, anche perché è la più difficile: tra il dire e il fare…
E’ pur vero che molti di quei giovani si sono persi: chi nei paradisi artificiali o della mistica orientale, chi nelle “comuni” che si sono rivelate esperienze del tutto minoritarie e pressochè fallimentari, chi nella lotta armata, e sappiamo com’è andata a finire, chi attratto dalla “religione” del denaro, del profitto, del mercato, del consumo.
Ciononostante mi sento di poter affermare che quella generazione ha vinto la sua battaglia perché la stragrande maggioranza di quei ragazzi, ed io tra loro, hanno continuato nell’impegno politico, sindacale e nelle associazioni, essendo debitori della propria crescita e maturazione critica, umana e sociale a quegli anni di grandi speranze e di totale dedizione a ideali che mantengono in buona parte la loro validità.
Infatti la speranza di una società più libera e giusta, la protesta contro l’autoritarismo, la violenza e la guerra, il rifiuto di tutto ciò che è accettato acriticamente, la ribellione contro un potere gestito da oligarchie inamovibili, la critica della morale dei luoghi comuni e dei vuoti perbenismi sono di una tale attualità che ci autorizzano a pensare che il Sessantotto sia ancora da fare: facciamolo dunque!

Nessun commento:

Posta un commento